Davvero difficile trovare parole adatte a ricordare il carissimo amico che inaspettatamente ci ha lasciato, Giuseppe Tarallo, per la cui scomparsa il Cilento si veste a lutto e precipita nel dolore, nello sconforto. Persone intelligenti, oneste, preparate politicamente, coerenti e in grado di portare avanti con convinzione e determinazione progetti e battaglie più che giusti come Peppe Tarallo si contano sulla punta della dita. E’ una grazia del Cielo quando nascono e vivono in e per un territorio come il nostro, il Cilento, dove è sempre complicato costruire qualcosa di buono e di duraturo. Giuseppe Tarallo, con la preparazione e la capacità del combattente, lo trovavi dove c’era un diritto sacrosanto da difendere, un impegno da profondere, una competenza da mettere in campo, un’ingiustizia da sanare. Per questo il mio ultimo incontro con lui è avvenuto abbastanza di recente. 12 luglio 2019. In un convegno organizzato dal Comitato dei cittadini del Parco e della Chòra di Elea per opporsi alla costruzione del mega impianto della spazzatura voluto dal Comune di Castelnuovo Cilento. Ci si poteva perdere di vista per lungo tempo con Giuseppe, ma questo non cambiava il senso dell’amicizia, del rispetto, della condivisione di idee, che ci accomunava e confortava. Il suo sostegno contro il mega impianto fu immediato e prezioso. La sua relazione al Convegno fu dettagliata, minuziosa, arricchita dalla sua esperienza per essere stato l’ideatore prima e poi il Presidente del Parco( 2001-2008) e ci diede ancora più forza e determinazione nella nostra battaglia. Giuseppe Tarallo, del resto, era stato da sempre pioniere (anche solitario) di realizzazione di idee che all’inizio potevano apparire rivoluzionarie, piuttosto che antesignane di una nuova storia, a favore della gente e della terra del Cilento. E’ stato tra i primi a immaginare e a lavorare politicamente per la creazione del Parco. Eravamo giovani allora. L’avevo conosciuto in un Congresso provinciale organizzato dalla CGIL scuola. Il dibattito che durava un’intera giornata lungo e complicato. Quando Giuseppe parlò ad un’ora abbastanza tarda per pretendere ancora la nostra attenzione, rimasi colpita non solo per quello che disse, ma anche per il modo tranquillo e convinto con cui illustrò il suo modo di vedere le problematiche scolastiche del momento. Tra tutti quelli che avevano tenuto banco in quel giorno “memorabile”, affiorava alla mia mente solo la sua faccia. Lo rividi a distanza di qualche anno. Al liceo classico di Agropoli, città dove ho lavorato anch’io per un po’ di anni. Ad Agropoli seppi della possibile istituzione del Parco nazionale del Cilento Vallo Di Diano e Alburni. Non si sapeva bene che cosa volesse significare, ma il fatto che promotore di questa cosa fosse Giuseppe Tarallo, mi faceva pensare che si trattasse di un bene, di un qualcosa di nuovo, ma di utilissimo per tutto il Cilento e non solo. All’inizio, rispetto all’Istituzione del Parco, molti palesavano contrarietà e diffidenze. I miei alunni, che riflettevano le convinzioni dei loro genitori e dell’ambiente in generale, scrivevano nei temi che il Parco avrebbe significato quasi un fermo totale per l’economia e lo sviluppo del Cilento: non si sarebbero potute costruire le case, non si sarebbero potuti piantare nei giardini gli alberi che si volevano, etc. Tutta una serie di divieti che non potevano portare che danno e privazione di crescita, una più profonda caduta nella miseria dovuta all’impossibilità di fare “ciascuno come avrebbe voluto”. Partecipai a qualche incontro tenuto da Peppe nella sala convegni del comune di Agropoli . Ci teneva a parlare con la popolazione. Mi resi conto che le persone erano sulla difensiva, anzi, in attacco. Lo contestavano, nonostante la bontà e la chiarezza degli argomenti che andavano tutti in direzione della riqualificazione ambientale e dell’incremento popolativo e occupazionale del Cilento. Peppe non si è fatto scoraggiare dai tanti ostacoli che avrà trovato sulla sua strada. Il Cilento da lui pensato come Parco nazionale da proteggere dal malaffare, dalle speculazioni edili, dal disboscamento selvaggio, dall’inquinamento del mare, dall’abuso delle montagne, dallo spopolamento dei paesi, dalle mira della camorra, diveniva tale nel 1991 con la legge quadro 6 dicembre n. 394. Iniziava un’altra era, fatta di recupero ed esaltazione (rimessa in vita e in luce) di tutte le risorse e ricchezze dimenticate o trascurate del nostro grande e meraviglioso territorio. Peppe aveva vinto per tutti noi che ne abbiamo condiviso i pensieri e le lunghe battaglie “a difesa di bellezza e paesaggio”. Un combattente, sempre dalla parte giusta, coerente e coraggioso, discreto e attivo, in prima linea a sostegno della giustizia, generoso nel sacrificarsi e riservato quando si trattava di mettersi in mostra, dopo che era arrivato al traguardo, da vincitore. In tutti questi anni mi è tornata spesso alla mente una frase che, pronunciata da Peppe, mi rimase dentro scolpita e che di tanto in tanto riaffiora, riportandomi a lui, alla sua bella persona, al suo ricordo. Era da poco scoppiata la guerra tra gli Stati Uniti ( e i paesi loro alleati, tra cui l’Italia) e l’Iraq. Probabilmente eravamo alla fine del 1990 o in gennaio del 1991. Molti manifestavano contro la guerra. Nelle scuole non si faceva che parlare di questo. Eravamo tutti preoccupati. Riflettevamo su quel che stava succedendo e ci interrogavamo sul perché si fosse arrivati a tanto, prevedendo il cataclisma che ne sarebbe scaturito. L’economia degli sprechi, dei consumi, dello sviluppo e del sottosviluppo, etc., ci stava presentando un conto molto salato. Ci incontrammo davanti alla scuola e io, più per me stessa che per altri, dissi: “Dobbiamo cambiare il modo di vivere. Dobbiamo tornare alla semplicità. All’essenzialità”. Vicino a me era Peppe che osservò: “Ma io ho già cambiato da un pezzo!” Da allora ho pensato a questo grande uomo, a Peppe Tarallo, come ad un esempio, ad uno specchio di quella che dovrebbe essere la vita di ciascuno di noi, la mia inclusa: un equilibrio tra onestà di sentire e criticità di pensiero, tra agire per il bene della collettività e la capacità di vivere in semplicità, tra profonde tensioni morali e coerente, costante attivismo per rendere concrete e tangibili, in positivo e in meglio, le idee che nascono e si sviluppano, a volte con lentezza, a volte inaspettatamente, in funzione del bene comune, della collettività di cui si è figli benefici e insostituibili. Possano l’affetto e la venerazione che ho per te, carissimo amico Peppe, accompagnarti dovunque tu sia. Continuerai a vivere nell’impegno mio e di quelli di cui sei stato guida e aiuto, nel rimpianto, nella memoria che ricostruisce le immagini di quel che sei stato e sarai per me e per tutti noi. Per sempre, carissimo amico mio!