Mohsen Fakhrizadeh era di sicuro la punta di diamante degli scienziati iraniani che portavano avanti il piano nucleare in Iran. La sua uccisione, avvenuta il 27 novembre scorso, non ha colto di sorpresa nessuno, essendo stata più volte prevista e contrastata dai servizi segreti iraniani, che niente hanno potuto contro l’attentato terroristico, che da molti per la modalità con cui è avvenuto, è stato definito “spettacolare”. Lo scienziato viveva in segretezza, in maniera molto protetta. Il programma nucleare dell’Iran, iniziato ai tempi dello scià, sotto la Presidenza di Obama, aveva avuto “l’assenso” degli Stati Uniti, poi “rinnegato” dalla Presidenza Trump, in via unilaterale, nel 2018. Secondo Israele, il programma dell’Iran sul nucleare era andato ben oltre gli accordi e poteva rappresentare una seria minaccia per tutto il Medio Oriente. Non ci sono tuttavia documentazioni che ne supportano la tesi. Il fatto è che già ai tempi dell’accordo (JCPOA- Joint Comprehensive Plan 0f Action, 14 luglio 2015) tra Stati Uniti e Iran sul nucleare, tutti i Paesi dell’ area dirimpettaia del Golfo Persico, a partire dall’Arabia Saudita, e un po’ più lontano Israele, erano in allarme, per la crescita e pericolosità dell’Iran, dove invece ci si prospettava, con il venir fuori dall’isolamento internazionale, di sviluppare le grandi potenzialità e di superare la crisi economica di vecchia data, che invece con l’embargo e l’epidemia si è ulteriormente aggravata. L’accordo del 2015 prevedeva lo sviluppo del nucleare per fini pacifici (di fatto si rinviava la possibilità per l’Iran di arrivare alla produzione della bomba atomica). L’uccisione di Mohsen Farhrizdeh segue una serie di attentati, il penultimo dei quali, rivedicato dagli Stati Uniti, è stato quello che ha ucciso il 3 gennaio 2020 il generale iraniano Quasem Soleimani, protagonista di primo piano nella guerra tra Iraq e Iran , capo delle Guardie della Rivoluzione, responsabile della propaganda all’estero dell’ideologia khomeinista. E’ colpito l’Iran in un momento in cui grande è la difficoltà di muoversi all’esterno , eccezion fatta della sua presenza in Siria, dove le sue armi sono schierate sulle alture del Golan (regione montuosa appartenente ad Israele, con una zona neutra), minacciose per lo Stato ebraico, specie in prospettiva del concretizzarsi di un programma nucleare. Più che una minaccia diretta o indiretta per Israele, l’attentato ha però un’altra chiave di lettura. Non casualmente si colloca nel passaggio tra l’amministrazione Trump e quella di Biden, con tutto quel che ne potrebbe derivare. L’Iran ha al momento problemi interni che non gli consentono di essere pericoloso come potrebbero i suoi avversari arabi o israeliani immaginare. Tant’è che nell’ultimo conflitto che ha visto l’Armenia contro l’Azerbaijan, non si è schierato con i suoi tradizionali amici, ovvero gli Armeni, ma dall’altra parte, non volendosi inimicare la Turchia. Il che significa che in questo momento ha questioni economiche e sanitarie interne che non gli consentono di esporsi più del dovuto o dello stretto necessario. E dunque perché l’attentato nei riguardi di uno scienziato che era tra l’altro a capo della gestione della ricerca scientifica per contrastare l’epidemia da coronavirus? Se l’attentato è attribuibile ad Israele, come tutti indicano e sostengono, avendo questo Paese l’interesse e la capacità di farlo, bisogna su questo punto fermare l’attenzione. In effetti, quello che Israele vuole è che l’Iran si muova contro i suoi vicini nemici , con una reazione “eccessiva” e riprovevole a tal punto da frenare una politica diversa da parte del nuovo Presidente Biden nei confronti dell’Iran e tale da bloccare tentativi di riprendere in mano gli accordi fatti sul nucleare tra Obama e l’Iran. Israele non si fa scrupolo di esporre anche i suoi amici, quelli che hanno siglato nel settembre del 2020 il cosiddetto “patto di Abramo”, a temibili rappresaglie. Come, ad esempio, gli Emirati Arabi Uniti, che per paura di ritorsioni, hanno immediatamente fatto le loro condoglianze all’Iran per la morte dello scienziato e gli hanno espresso le loro lagnanze per quanto accaduto. Finora la reazione da parte dell’Iran non si è avuta, a riprova della necessità dell’attesa di una risposta politica (e quindi di un nuovo modo di porsi) da parte degli Stati Uniti nei suoi confronti. L’Iran si è solo lamentato per ora dell’assordante silenzio e della mancata condanna della comunità internazionale. Ha affermato altresì il diritto di autotutela difensiva e deterrente. Gli Stati Uniti al momento non possono far altro che prendere tempo e far rinviare per quel che è possibile, finché sarà possibile, la creazione della bomba atomica. In questo senso, il loro interesse potrebbe coincidere con quello di Israele. Ma fino a un certo punto. Per gli Stati Uniti non c’è urgenza nei confronti dell’Iran né vedono situazioni che lo rendono nell’immediato pericoloso. Nel contempo, non possono non dare uno spiraglio di apertura all’Iran e, di conseguenza, non inserirsi di nuovo nel dialogo negoziale iniziato da Obama e interrotto bruscamente da Trump. Anche perché, nei giochi degli equilibri in ambito mediorientale, non possono far crescere ulteriormente la potenza della Turchia e, di conseguenza, consentire che l’Iran, che le possono contrapporre, se necessario, si indebolisca più del dovuto. Al momento Israele continua a muoversi con disinvoltura, ritenendo di essere l’interlocutore privilegiato degli States. La spregiudicatezza con cui agisce è comprensibile, se si considera che la presenza (anche militare) degli Stati Uniti si è ridotta in Medio Oriente, mentre i loro interessi si rafforzano e convergono verso l’Indo-Pacifico e l’Europa.