Le immagini che arrivano dalla Francia ci pongono alcuni interrogativi che vanno oltre la cronaca o la documentazione immediata di quel che sta succedendo. Al centro delle proteste una legge in discussione in Parlamento che darebbe più forza alla polizia, protetta dal divieto di pubblicare e diffondere foto che potrebbero testimoniarne i metodi violenti con cui potrebbe operare. La cosiddetta legge “sulla sicurezza” limiterebbe perciò la trasparenza con cui è necessario per le forze dell’ordine operare anche in situazioni incresciose o dove di fatto è presumibile si possa ricorrere a metodi di repressione o ad azioni in cui si procede con la forza. Com’è naturale che sia, benché le proteste pubbliche abbiano interessato parecchie città della Francia, è a Parigi che c’è stato il clou delle manifestazioni e degli scontri. La manifestazione, denominata “Marcia per le libertà contro le leggi liberticide”, indetta da alcuni sindacati, appoggiati da giornalisti e da associazioni per i diritti umani, ha preso origine da Piazza della Repubblica per convergere a Piazza della Bastiglia, dove si sono verificati tafferugli , anche in seguito alla presenza dei black bloc, sempre pronti a creare confusione, provocazioni e reazioni, come di prassi. Il Parlamento aveva tuttavia annunciato, prima ancora che ci fosse la manifestazione, che si sarebbe riscritto l’articolo 24 del disegno di legge (quello che prevede la limitazione delle riprese della polizia), pur accentuando l’espansione della videosorveglianza durante le manifestazioni, anche con l’aiuto di droni, in possesso delle forze dell’ordine. Ciò, secondo il governo francese, a tutela sia dei manifestanti che delle forze di polizia. Contro la libertà di controllo, per i manifestanti, a nascondimento e a tutela delle azioni violente anche razziste perpetrate dalla polizia. Lo scontro è particolarmente preoccupante in una situazione di pericolosità di diffusione dei contagi che anche in Francia come dappertutto sono abbastanza estesi e minacciano di far entrare in una pericolosa terza ondata dell’epidemia. Le manifestazioni popolari, più o meno circoscritte, meritano di essere valutate alla luce della politica, prima ancora che per i rischi dell’epidemia che potrebbero rinfocolare. La politica che non si ferma in Italia neanche per il coronavirus, tanto più si muove in Paesi di maggiore prestigio, quale può essere in Europa la Francia. Essa mostra, nella crisi generale, una volontà di dinamismo ancora più forte che nel passato, volendo o mettere i punti sulle i, come si suol dire, o trovare il modo di avere una maggiore forza quando si tornerà ad una dimensione normale di vita, sì da non essere colta impreparata o affrontare questioni che, se non arginate o risolte, poi bisognerà comunque fermare con maggiore dispendio di energie e improbabilità nei risultati. Il problema principale (dopo l’epidemia) che la Francia ha in questo momento è il suo rapporto con il 9% della sua popolazione, che è costituita da immigrati, di religione islamica. Sono recenti le cronache di atti particolarmente cruenti che si sono avuti a Nizza e in altri punti del Paese o quelli un po’ più datati che hanno trasformato il Paese della libertà per antonomasia in un posto dove le incertezza hanno smorzato e messo al tappeto finanche la gioia di respirarla questa libertà, trasformando i modi gioiosi di vita in preoccupazioni per quel che può violentemente e inaspettatamente succedere a chiunque, turista o francese che sia. Emmanuel Macron rivede la posizione della Francia rispetto al problema scatenato dalla presenza islamica nel Paese alla luce di una nuova strategia, visto che quella finora adottata , a partire dalla seconda guerra mondiale, non ha dato i frutti sperati, ché, anzi, ha creato delle separazioni marcate tra la popolazione, che non si sono potute ricucire, e i cui effetti sono a portata generale. Non può tollerare che i figli degli immigrati (la seconda o addirittura la terza generazione) si possano muovere “contro” e costituire un rischio per la sicurezza nazionale. Prima ancora che dare più “libertà” di azione alle forze di polizia, o servendosi delle forze di polizia, la Francia vuole un cambiamento del suo modo di porsi e di essere rispetto agli immigrati. Eliminare, come dice Macron, o ridurre il separatismo tra i francesi veri e propri e gli immigrati, vorrà dire sottolineare la laicità dello stato francese, in cui si inserisce anche l’islamismo, che deve diventare una religione “civile”, ovvero, nel rispetto della sua specificità, non deve assurgere a “differenza” che si riflette nei modi di essere comuni e ne determina l’isolamento, l’emarginazione, in comunità che fanno vita a sé stante, che non hanno gli stessi valori che può avere la popolazione francese. Il multiculturalismo finora praticato, che lascia l’altro (in questo caso l’immigrato o il figlio dell’immigrato islamico) libero di essere diverso per sempre, pur condividendo la lingua, le leggi, le regole civili del Paese ospitante, è sostituito dalla volontà e necessità di essere più rigorosi e di passare dalla “integrazione”all’assimilazione (il che avviene anche potenziando i mezzi e la libertà di azione e quindi di repressione della polizia). Fare cioè diventare “francesi” quelli che fino a questo momento francesi non si sentono. Da qui la protesta di Erdogan, che vede la politica del Presidente francese molto diversa da quella del passato e soprattutto contraria al mantenimento della condizione emarginata, ma rigorosa e oltranzista di buona parte del mondo islamico, che vive in Francia senza diventare “francese” e che può invece guardare con benevolenza il Paese ( quello d’origine o i paesi esterni) in cui per religione, lingua e cultura più si identifica e la cui politica si corre il rischio possa condividere.