La vittoria certa (non si sa però se sarà messa sul tavolo giurisdizionale) di Joe Biden ha sollevato in Italia entusiasmi o critiche, come se fosse venuta fuori da una partecipazione quasi diretta alle scelte della popolazione statunitense, mostrando ancora una volta come non solo siano gli italiani legati agli Stati Uniti d’America, per una serie di ragioni che non è qui il caso di elencare, ma anche per motivi sentimentali, nostalgici quasi, come se si trattasse per noi di un Paese vicino di casa, a volte scorbutico e chiuso, ma in genere aperto, sorridente, gentile, generoso. Le elezioni americane ci hanno distratto dalle questioni interne e dai contrasti politici nostrani, non accantonati neppure in questo tempo che vorremmo cancellare con un colpo di spugna e che invece continua a perseguitarci con notizie allarmanti e con situazioni economiche e sanitarie sempre più ingestibili. Si è fatto, ad esempio, un gran parlare delle origini siciliane della First lady, presentata come una “maestra di sostegno”, il cui nonno, all’età di due anni, insieme con altri sette fratelli e la moglie, venne portato dal padre in Pennsylvania. In seguito suo nonno Gaetano Giacoppo cambiò, come moltissimi del resto, il cognome italiano in Jacobs. Suo padre Donald, nato nel 1927, era ormai completamente assimilato nel contesto americano in cui lavorò come cassiere di banca e diventò in seguito capo di un’attività di risparmi e prestiti in Filadelfia. Con tutta probabilità, sua figlia Jill, nata nel 1951, aveva del tutto dimenticato i legami con il ceppo siciliano di Gesso, un piccolo paese in prossimità di Messina. La sua educazione come pure il suo accento (oltre che il suo cognome anglicizzato da vecchia data), non potevano nemmeno lontanamente fare immaginare la sua remota origine italiana. Ché, anzi, quando da adulta le fu consentito di scegliere, optò non per il cattolicesimo, ma per la religione presbiteriana. Sposò poi Joe Biden, un avvocato e un politico di origine irlandese, vedovo e padre di tre figli, con il rito cattolico. Era stata anche lei sposata con uno sportivo fino al 1974, anno in cui divorziò. La sua vita è stata poi accanto al marito Joe, in sintonia e in appoggio della sua carriera e ascesa politica. E’ stata ed è sempre molto attiva nel sociale ed ha continuato, nonostante il grande impegno del marito nella politica, ad insegnare. A noi però non interessa soffermarci sulla sua illustre biografia, di cui in questo momento si fa un gran parlare, quanto invece sulle reazioni italiane e in specie degli abitanti della frazione di Gesso sulla quasi scontata vittoria alle elezioni di Joe Biden. A uno storico locale di Gesso, che ha studiato la genealogia e le fortune di tutti coloro che da Gesso sono partiti per l’America, non poteva sfuggire la sorte che era toccata alla famiglia Giacoppo, emigrata nel 1900 in Pennsylvania e ha immediatamente divulgato alla stampa la notizia di un legame sottile, ma comunque ancora esistente tra una cugina (di ottavo grado), residente a tutt’oggi a Gesso e la futura First lady americana. Tutti i seicento abitanti di Gesso partecipano con gioia ad un successo grande e inaspettato che, sia pure in maniera bizzarra e lunga, gli è piovuto sulla testa. Condizionando così anche noialtri al punto da sognare che basterà, come dice la cugina Caterina Giacobbo, prepare le polpette al sugo, irresistibili, per indurre Jill e consorte a fare una bella rimpatriata. Con soddisfazione di tutti per il trionfale ritorno del leggendario parente d’America. Che, come è naturale, sanerà il trauma del distacco avvenuto più di un secolo fa e si accorgerà che vale la pena tornare, perché nel frattempo le cose sono cambiate in meglio e qui in Italia c’è posto per tutti, specie per chi è degno e merita di fare carriera. Insomma, una favola di oggi di Cenerentola, che impersona l’emigrazione italiana in America con qualche variante che non guasta. Questa è la favola, che però è smentita dalla realtà. Nel senso che la disaffezione alla patria dei propri antenati è cosa assai nota negli Stati Uniti, dove già le seconde generazioni, quelle cioè nate da genitori emigrati dall’Italia o da altri Paesi, si americanizzano, prendono un’identità che, nonostante le specificità delle provenienze, le fanno avvertire “statunitensi”, inglobate in un processo politico e sociale alternativo allo stesso mondo europeo, italiano o no di provenienza, che poco ha a che fare con un passato in cui non ci si riesce a riconoscere. Tolta questa patina, c’è da dire altro. Biden, come pure Trump, rappresentano le istanze, le insoddisfazioni, i sogni, le aspettative degli americani, divisi e contrapposti e si muovono a seconda non solo dei programmi elettorali, ma in base alla convenienza della classe (o classi) di cui sono la diretta espressione e che si apprestano a rappresentare. Senza dimenticare mai che hanno la responsabilità (e il peso) di un impero, che dalla fine della seconda guerra mondiale ai nostri giorni ha avuto con alti e bassi una buona tenuta, imponendosi la sua politica in tutti i punti del globo, con l’intervento armato o il ricorso alla diplomazia. Non ci dobbiamo perciò dimenticare che i propri interessi gli Stati Uniti li conoscono bene e li perseguono, attraverso apparati complessi ed efficaci, che si avvalgono di strategie di mantenimento del loro ruolo. Di sicuro non ci sarà una rivoluzione con l’elezione e la vittoria di Joe Biden. Il passaggio sullo scranno della Presidenza non avverrà con situazioni sorprendenti di cambiamento sia in politica estera che interna. Per quanto riguarda le riforme sociali, il cosiddetto Welfare State, può darsi che qualche cosa in più si farà, dal momento che si sono ulteriormente aggravate le situazioni già critiche di molte frange di popolazione con la pandemia ancora in atto, ma non saranno così incisive da sgretolare le disuguaglianze di classe o da attutire fino a far scomparire la questione razziale che riguarda i neri (il 12% della popolazione totale). La politica estera può darsi che prenda però un’altra piega: ad esempio, si cercherà, per quanto riguarda l’Europa, di ridimensionare la forza della Germania (economica), soprattutto basata sui molteplici e proficui rapporti che ha con la Cina e non le si consentirà di veder diminuire sul suo territorio la presenza delle forze armate alleate, cosa che almeno minimamente sembrava potesse realizzarsi con l’amministrazione Trump. La Francia, nel frattempo, sarà impegnata (con l’impressione che la Nato, come sostiene Macron, sia cerebralmente morta) a contrastare la Turchia, al momento in grado di sfidarla nell’Africa Settentrionale e nel Mar Mediterraneo Orientale. Dell’Italia gli Stati Uniti non si preoccupano, visto che ha rinunciato da sé ad una politica estera attiva, persino difensiva. L’attenzione ci sarà invece per i Paesi dell’Est che potrebbero chiedere e avere il sostegno della Russia, che comunque rimane un Paese temibile. Ma soprattutto bisognerà vedere come si relazioneranno adesso gli Stati Uniti con la Cina.Con Trump i rapporti erano diventati molto tesi, non solo per via del covid, ma ancora prima, per la crisi del lavoro, dovuta all’economia statunitense centrata sull’importazione e quindi limitata nella produttività autonoma. La maggioranza dei voti per Joe Biden si è avuta in virtù delle difficoltà sociali e delle problematiche emerse in un contesto diviso e conflittuale, dove le pressione esterne (immigrazione) si aggiungono a quelle interne, in molti punti del paese già abbastanza alte. Non sappiamo se con Joe Biden cambieranno i rapporti con la Cina e se sarà ridimensionata nella sua corsa all’espansione e alla crescita economica (oltre che politica). Di sicuro gli Stati Uniti rientreranno nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che avevano lasciato, dopo che Trump ne aveva dette di tutti i colori ai suoi importanti rappresentati e in particolare al direttore, Tedros Adhanom Ghebreyesus, di aperto e interessato schieramento filocinese, avendo formalizzato la richiesta di ritiro presentandola alle N. U. e al Congresso (con grave preoccupazione delle conseguenze per la sanità mondiale e per gli Stati Uniti stessi, che ne sono i principali finanziatori). Anche con la Corea del Nord probabilmente cambieranno i rapporti. L’amicizia e la distensione volute da Trump con la Corea del Nord, in funzione anticinese, saranno riviste e ridimensionate, con la consequenziale richiesta da parte degli Stati Uniti alla Corea del Nord di ridurre o addirittura rinunciare al nucleare. La Turchia, che da quando gli Stati Uniti sono rimasti concentrati sulle questioni interne (guardando, come si suol dire, al proprio ombelico), ha avuto l’agio di muoversi con disinvoltura, recuperando in parte la sua antica sfera di influenza in ambito mediorientale, nel mare Egeo e, in ultimo, aggiungendo al suo attivismo di successo, l’accordo con la Russia e l’Armenia a favore dell’Azerbaijan, che si è ripreso di fatto il territorio del Nagorno Karabakh, nonostante le proteste degli Armeni che vi costituivano un’enclave, che però nel recente scontro non sono riusciti a difendersi dagli attacchi azeri, sostenuti dai sofisticati droni e armi di Erdogan e di Israele. La Turchia continuerà la sua ascesa fino a che agli Stati Uniti potrà convenire per tenere a bada o impegnati la Russia e l’Iran, la cui forza politica e militare (nucleare compreso) li preoccupa, oggi forse più di ieri. Di certo, con Joe Biden presidente cambieranno gli scenari e saranno diverse le modalità della presenza degli Stati Uniti nel mondo. I quali, comunque, non hanno nessuna intenzione, Joe Bill o Donald Trump presidente, di rinunciare al loro primario ruolo nel mondo. Con un occhio più o meno aggressivo o benevolo nei confronti dell’esterno. Con un grande senso della loro grandezza e della loro importanza nella storia attuale.