Un’estate

Il romanzo di Piera Ruocco, scritto alcuni anni fa, può essere definito “opera giovanile” e per l’età in cui è stato elaborato e per il mondo che vi è rappresentato. Vivace quadro della realtà studentesca, dove innocenza e provocazione convivono in situazioni di pensosa e sognante, provvisoria quotidianità.

Il libro è stato concepito in un momento e in luoghi in cui erano lontani personaggi e modi particolari di essere che solo la memoria, nel significato leopardiano del termine, poteva far rivivere.

La memoria costituisce in un certo senso l’elemento su cui è stato possibile ricostruire con distacco e obiettività quella che appariva come un’esperienza significativa non solo per la protagonista, ma per chiunque – uomo o donna – sia nella necessità di trovare un modo decoroso per vivere e, nello stesso tempo, si proponga la ricerca dell’autonomia.

La quale, al di là delle situazioni di precarietà e di contingenza sfavorevole, è, s’intende, conquista della propria interiorità.

La forma linguistica adottata, volutamente scevra di orpelli retorici, è immediata, essenziale e corrisponde agli odierni canoni formali della letteratura, specie di quella americana (Hemingway, Kerouac, Caldwell, ecc.), intesa come espressione veritiera, sensistiva, interpretativa di vita.

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